Di un mondo lontano, ma non troppo… Simile alla Terra, ma non troppo.
di Grazia Maria Giuliani
Oggi parliamo di un pianeta lontano lontano, ma poi non così tanto dalla Terra, dista infatti “solo” 300 anni luce da noi, quindi circa 3 milioni di miliardi di chilometri dal vostro ristorante preferito.
Il suo nome è Kepler-1649 c ed è un cosiddetto pianeta “extrasolare” o “esopianeta”, ovvero un pianeta esterno al nostro Sistema Solare, che dunque orbita intorno ad un’altra stella.
Il nome Kepler deriva dal telescopio spaziale che l’ha scoperto e dalla stella intorno a cui orbita, per l’appunto Kepler-1649, una nana rossa che possiede circa il 20% della massa del sole ed è visibile nella costellazione del Cigno.
Ad oggi conosciamo più di 4200 pianeti extra solari, appartenenti a più di 3000 sistemi stellari differenti, dunque sono talmente tanti che non fa di sicuro notizia la scoperta di un uovo esopianeta a meno che…
C’è un “a meno che” piuttosto rilevante: a meno che esso non risulti “potenzialmente abitabile”.
Eh sì, perché, a quanto pare, lì fuori l’universo è ricco di posti potenzialmente abitabili.
Ma cosa vuol dire questa definizione?
Un pianeta “potenzialmente abitabile” è un pianeta in cui potenzialmente ci potrebbe essere la vita, come la conosciamo noi, simile alle forme di vita terrestri.
Questo implica che alcune caratteristiche fisiche e chimiche del pianeta come la temperatura, la presenza dell’acqua allo stato liquido e di un’atmosfera simile a quella terrestre devono aver avuto modo di svilupparsi. Diciamo che se la presenza di una temperatura ospitale e dell’acqua sono caratteristiche facili da comprendere, ben più delicato è l’aspetto che riguarda l’atmosfera.
Infatti questa dovrà essere tale da riuscire a riparare il pianeta dalle radiazioni nocive che provengono dallo spazio, e dalla stella di riferimento, ma contemporaneamente deve far filtrare il quantitativo corretto e la tipologia corretta di luce per riscaldare il pianeta. Il suo spessore e la concentrazione dei vari gas che la compongono devono poter permettere la presenza di un effetto serra tale da garantire una temperatura media ottimale. Per farvi un esempio, senza allontanarci troppo da casa, Venere ha un’atmosfera, peccato che l’anidride carbonica presente in essa sia tale da far sì che l’effetto serra sulla superficie del pianeta garantisca una temperatura media che supera di gran lunga i 400 °C.
Assai oltre la temperatura sopportabile da qualsiasi amante della tintarella di ferragosto o di qualsiasi batterio “estremofilo”, uno di quei batteri che riescono a vivere nelle condizioni più estreme sulla Terra.
Un altro aspetto da tenere in considerazione per avere un pianeta “potenzialmente abitabile” è che la stella intorno a cui esso ruota non emetta troppi raggi nocivi allo sviluppo della vita. A tale scopo servono stelle non troppo grandi e non troppo calde. Ne consegue che anche la distanza del pianeta dalla stella sarà cruciale perché su di esso non arrivi troppa o troppo poca luce, quindi esso deve essere collocato nella cosiddetta “fascia di abitabilità” della stella, dove queste condizioni sono soddisfatte, a patto di avere la stella “giusta” come fonte di energia.
Ecco, superati tutti questi step possiamo definire un pianeta potenzialmente abitabile.
Fino ad ora sono stati catalogati potenzialmente abitabili una cinquantina di pianeti, ovviamente tutti rocciosi.
Tra tutti questi il nostro Kepler-1649 c pare essere il più simile alla Terra fra tutti quelli identificati dalla sonda Kepler, motivo per cui risulta essere così interessante per gli scienziati. Le sue dimensioni infatti sono molto simili a quelle del nostro pianeta, e riceve dalla sua stella il 75% della luce che noi riceviamo dal Sole, il che farebbe sperare nella presenza di acqua allo stato liquido. Ancora però questo dato non è stato confermato, né tantomeno è stata studiata la composizione chimica della sua atmosfera. Gli studi che verranno condotti nei prossimi anni ci permetteranno di approfondire questi aspetti cruciali.
Ci tengo a sottolineare che il concetto di abitabilità è qualcosa di ancora profondamente ampliabile: noi per ora stiamo indagando e catalogando in questo modo pianeti con caratteristiche simili alle condizioni terrestri, perché questa è la vita che conosciamo, ma nulla esclude che ci possano essere altre forme di vita, che funzionano con basi differenti.
Questo implica che la ricerca degli e sugli esopianeti è qualcosa che interessa scienziati specializzati in vari ambiti: dagli astrofisici agli astrobiologi, passando per i matematici e gli ingegneri.
Per avere un’idea di quanta strada bisogna ancora basti pensare che tutti gli esopianeti scoperti fino ad ora appartengono ad una porzione piuttosto ridotta della nostra galassia, e si stima che solo qui, nella Via Lattea, possano esistere circa 10 miliardi di pianeti simili alla Terra.
Considerando che nell’Universo sono presenti miliardi e miliardi di galassie, si arriva rapidamente a cifre che fanno girare la testa.
Per questo motivo la ricerca in questo settore è molto attiva, e le agenzie spaziali americana (NASA) e europea (ESA) stanno investendo e investiranno molto nello sviluppo di tecnologie che permettano di scoprire nuovi mondi sia da Terra che dallo spazio.